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 Rig Veda
lparcshinoda
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Late Messiah: Rig Veda

Potete scaricare il Libro di Rig Veda in varie versioni

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lparcshinoda
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CAPITOLO PRIMO, parte ottava

Labirinto dei peccati, quella notte

Tra le ombre, nei vicoli, due figure si scrutavano, in silenzio.

Sìva … o Francis come aveva appena rivelato di chiamarsi al suo interlocutore, avvolto dal suo sempre presente impermeabile nero sembrava visibilmente teso nel constatare la freddezza del ragazzino davanti a lui.

Dall’altro lato, Dylan, appariva invece come al solito noncurante di avere quell’uomo davanti a lui: lo guardava con aria distratta e disinteressata, tanto che fino a pochi istanti prima preferiva di gran lunga fissare il muro che bloccava l’uscita da quella piccola stanzetta scavata nei cunicoli del labirinto.

Francis chiuse gli occhi, cercando nuovamente di usare le sue capacità sensoriali, ma ancora senza successo. Quel ragazzino sembrava possedere una specie di “barriera mentale” che impediva a Sìva di percepire il suo passato, la sua storia, i suoi peccati e rimorsi. Eppure, nonostante questa sorta di “difesa” Dylan non era il portatore di quella luminescente essenza che aveva acceso più volte un campanello di allarme nei sensi percettivi dell’uomo … Dylan non possedeva un’aura.

Sembrava più che altro che quel ragazzino, con la sua noncuranza, la sua incredulità e la sua più totale mancanza di rimorsi o senso di colpa verso se stesso, fosse immune ai poteri di Sìva. Ma Francis sentiva di dover fare … non poteva restare lì fermo senza agire.

Il nero scrutatore decise allora di utilizzare per una volta i suoi poteri in modo differente: solitamente si limitava a leggere passivamente nell’animo delle persone che incontrava, vedendo le loro coscienze e le loro colpe e stimolandole a reagire contro gli stessi individui, creando per loro (nella loro testa) una sorta di realtà alternativa, di mondo dell’incubo, generato dal residuo dei propri sensi di colpa … mondo in cui Sìva era presente sottoforma di “giudice” ed aveva il pieno controllo nelle sue mani, divenendo in qualche modo anche “esecutore morale”, nonostante di solito preferiva lasciare che ognuna delle sue “vittime” trovasse la strada per la redenzione e per uscire da quel mondo, costruito dalle loro stesse paure, ansie, colpe e rimorsi.

Questa volta toccava a lui entrare nell’animo del ragazzino, agendo attivamente … e penetrare all’interno con la sua mente, per poter percepire con maggiore facilità quello che vi albergava. Era un operazione difficile e molto faticosa, ma una volta dentro avrebbe potuto contare sui suoi poteri per manipolare quel luogo a proprio piacimento, come faceva solitamente con le persone che incontrava. Era tuttavia la prima volta che provava una cosa simile.

Ancora con gli occhi chiusi, Sìva si portò la mano sinistra a toccarsi la fronte ed iniziò lentamente a tendere il braccio destro verso Dylan, che di tutta risposta girò il viso da un lato, come se non volesse degnare l’uomo neanche del suo sguardo.

Sìva … c’era il buio intorno a lui, mentre ancora teneva gli occhi chiusi e tutti i sensi pronti a schizzare via dal corpo per proiettarsi altrove. La mano tesa, si muoveva, come a volersi aggrappare a qualcosa, in quel nero senza luce, facendosi in avanti, come se fisicamente la sua mano si stesse allungando sempre più, fino a raggiungere il petto di Dylan, toccarlo, e con le dita scavare dentro di lui, penetrando nella carne prima e nell’anima poi, bucando la barriera della percezione, la placenta della sua innocenza, e sbucando in un mondo nuovo all’interno del ragazzo.

Francis aprì gli occhi ma nulla sembrava cambiato per lui: ancora il buio lo circondava. Intorno non c’era niente ma in lontananza percepiva qualcosa, una fievole luce che stava lentamente crescendo, fino a divenire una piccola sfera luminosa, come una finestrella affacciata su di un infinitesimale scorcio dell’ampia realtà in cui si trovava: Sìva era entrato nel mondo di Dylan.

Il mondo di Dylan: CANTO I, la selva oscura

Francis camminava, con passo poco sicuro, verso la luce che vedeva dinnanzi a lui. Nei suoi occhi brillavano due fari cerulei che lo guidavano per quel sentiero impervio.

I suoi sensi erano tesi a percepire ogni piccolo movimento, ogni lieve frammento dell’anima di Dylan che potesse dirgli come muoversi e dove andare. Non poteva commettere errori lì, la sua stessa forma fisica poteva essere in pericolo se avesse fallito in quel luogo quindi aveva bisogno di essere attento a qualsiasi particolare potesse recepire coi suoi poteri.

Non era neanche certo di poter contare sul potere di “creazione e distruzione” sul quale solitamente faceva affidamenti negli onirici mondi plasmati dal suo misterioso potere, per cui, era ovvio che dalla sua aveva soltanto il dono del terzo occhio con il quale percepire i pensieri altrui, nella fattispecie di Dylan, visto che si trovava nella sua mente. Ma anche su tale elemento non era del tutto certo.

>> chi c’è, lì ? … percepisco qualcosa … qualcuno … <<

Francis iniziò a prendere l’abitudine a parlare con se stesso ed a porsi da solo domande e riflessioni, in quel luogo in cui di reale c’era ben poco, se non lui e le “immagini riflesse” del ragazzino che avrebbe incontrato.

Via via che si avvicinava, il cerchio di luce diveniva sempre più grosso ed il suo contenuto più definito, permettendogli di riconoscere la sua prima destinazione: la luce era generata da un lampione curvo e di ferro scuro, dall’aria piuttosto antica, probabilmente come quelli che si vedono a Zlata.

Sotto al lampione c’era una panchina, poggiata su un pavimento roccioso sconnesso ed a tratti sabbioso. Sulla panchina in ferro battuto era seduto un ragazzino che, nell’avvicinarsi si rivelò essere il piccolo Dylan, o meglio, una delle sue “proiezioni mentali”.

Nell’avvicinarsi Francis notava altresì che, come si aspettava, in quel luogo poteva percepire i pensieri e l’animo di Dylan o meglio, delle sue immagini riflesse.

Questo lo poneva in vantaggio e gli dava modo di analizzare passo passo cosa vedeva accadere in quel posto onirico che probabilmente avrebbe riflesso i pensieri, i ricordi, le paure ed i rimorsi di Dylan: non conoscendo il ragazzo era fondamentale dedurre “al momento” cosa stesse accadendo o cosa le sue “immagini” provavano.

>> sento … un forte senso di solitudine. Cosa fa ? Cosa sta facendo ? Sta … <<

Dylan aveva in bocca un piccolo cilindro color marrone scuro, dalla forma allungata, che emetteva dalla punta una scia di fumo grigio dall’aroma dolciastro: il ragazzino stava…

>> … sta fumando un sigaro !?! Dove può aver preso questo vizio un bambino come lui ? … <<

Se ne stava lì, curvo su se stesso, con le gambe che penzolavano dal bordo della panchina, sfiorando il vuoto, e fumava … in quel momento non stava aspirando ed era fermo, come sovrappensiero, fissando nel vuoto sopra di lui … in un punto indefinito.

>> pensa … cosa pensa … paura … ha paura … di cosa ? <<

Il ragazzino, con gli occhi chiusi, alzò una mano per afferrare il sigaro … tirò una vigorosa boccata e poi se lo tolse dalla bocca, buttando via l’aria fumosa, quindi riaprì gli occhi e li voltò verso Sìva, notandolo solo in quel momento lì, in piedi accanto a lui.

>> … la paura di dimenticare. Si chiede cosa ne sarebbe di lui se perdesse la memoria, se scordasse i momenti del passato, frammentati pian piano fino a disgregarsi.

Ha paura di dimenticare le persone che ama, di scordare i pochi momenti belli passati con loro … ha paura che i brutti ricordi si spalmino su quelli belli del passato e li ricoprano come nero catrame.

Dylan ha paura di scordare qualcosa … il suo pensiero è rivolto a qualcosa, qualcuno di preciso … ma non riesco a vedere con chiarezza …
<<

Dylan spinse il sigaro contro il ferro della panchina, spegnendolo in un’ultima vampata di fumo scuro, quindi poggiò le mani sul bordo e si spinse oltre, alzandosi in piedi girato verso l’ospite. Lo guardava placidamente, con l’aria innocente ma la faccia seria.

>> mi guarda … cosa sta pensando ora ? vuole ricordare … ha bisogno di me, dei miei poteri … è per questo che sono qui, dove lui mi voleva ? Ha bisogno di me per non dimenticare, per colmare questo buio che c’è intorno a noi … e quindi suppongo nel suo animo …

Cosa farai ora, Dylan ? In che modo mi convincerai a cederti il mio p…
<<

Il ragazzino fece un balzo improvviso in direzione di Sìva, aggrappandosi al suo petto con le braccia e spingendosi addosso a lui con le gambe. Il nero viaggiatore cadde a terra, sovrastato dal suo peso e da una forza incredibile che il piccolo Dylan sembrava possedere in quel luogo. Era sorpreso, non si aspettava un attacco così diretto. E soprattutto non si aspettava che …

>> n-non riesco a muovermi … sono come … b-bloccato … <<

Francis si divincolava e muoveva appena, sotto il peso e la pressione mentale che quell’immagine di Dylan stava esercitando su di lui: era come paralizzato, incapace di reagire in un mondo in cui sembrava non avere alcun controllo, come uno spettatore incapace … come se, per una volta, la vittima fosse lui.

>> c-cosa… cosa fa, che vuole fare adesso ? La sua mente … sta pensando … è fissa su … continuano a ronzargli in testa delle parole, una specie di filastrocca …

la carne è l’inizio: ti porterà dentro … ti sputerà fuori

… m-ma, cosa … cosa vuoi fa…
<<

<< NOOOOOOOOO >> l’uomo cacciò un violento urlo di dolore non appena Dylan affondò i denti nella sua spalla, avidamente, affamato della sua carne, bramoso del suo sangue, invidioso del suo potere.

>> maledizione !! D-Dylan … cosa fai … c-cosa vuoi fare, cosa … <<

Il ragazzino divorò in tutta fretta ed avidità la carne sulla spalla dell’uomo, strappando le fasciature, dilaniando il suo corpo, risalendo verso il collo e addentando infine, con precisione quasi chirurgica, la giugulare dell’inerme preda.

<< AAAAAAAAAAAAAAAAAAA >> fù un nuovo grido di dolore a preannunciarne la fuoriuscita del suo sangue e con esso … della sua energia: bagnavano il ragazzino che osservava il defluire con occhi sadici ed affamati, ricoprendosi di rosso peccato, inebriato dall’odore del sangue che sgorgava dal suo pasto.

>> no !! n-no, cosa … sta assorbendo il mio potere … divorando la mia immagine riflessa !!! <<

Francis, tra urli di dolore, carne lacera e fiotti di sangue veniva divorato avidamente ed in tutta fretta, senza potersi difendere. Sotto di lui si era formata ormai una pozza di sangue e le forze iniziavano ad abbandonarlo pian piano: l’uomo infatti non poté “gustarsi” interamente la scena perché da lì a breve perse completamente i sensi, finendo nuovamente nel buio più totale, cadendo in un sonno …

senza riposo.

Labirinto dei peccati, quella notte

Nella realtà della città di Zlata, i vicoli erano meno solitari quella notte.

Il giovane “Benny” si aggira per i vicoli a passo sostenuto, cercando qualsiasi traccia o segno che potesse condurlo da uno dei suoi obiettivi: stava cercando Ines, nel tentativo di salvarla dall’orrore che la spaventava … si chiedeva altresì che fine avesse fatto Maya, dato per alcuni giorni non aveva avuto alcuna notizia di lei, così preso altri pensieri ed eventi … ma soprattutto cercava Sìva, sentendo di dover fare qualcosa per fermarlo ed impedirgli di fare del male alle ragazze.

Deva finì in un cunicolo particolarmente lungo e dall’aspetto strano. Si fermò un attimo per riposare e la sua mente lo portò a riflettere su quello che il posto sembrava trasmettergli. Il ragazzo sentiva in quel posto uno strano senso di vuoto e di smarrimento … quelle mura muscose permeavano di angoscia e tristezza.

Percepiva aria di morte in quel vicolo ed il suo olfatto era catturato da un odore … un profumo che il ragazzo riconosceva distintamente: Maya … Maya era stata lì.

Nonostante queste sensazioni le sue capacità gli impedivano di andare oltre questo genere di elementi e capire veramente cosa fosse accaduto in quel vicolo qualche tempo prima, nonostante quel luogo sembrava volergli in tutti modi raccontare la storia della ragazza, abbandonata a se stessa.

Dopo pochi attimi quel tanfo opprimente divenne una sensazione tanto insopportabile da indurlo a proseguire nuovamente, ignorando quanto le mura cercavano di comunicargli.

In un attimo la figura del ragazzo svanì nel buio del cunicolo davanti a lui, mentre proseguiva le sue ricerche e si avvicinava sempre più ad almeno uno dei suoi obiettivi …

Sìva …

Il mondo di Dylan: CANTO II, regali di sangue

D’improvviso, riaprì gli occhi.

Francis si ritrovò seduto a terra, con la schiena poggiata ad un edificio, probabilmente una piccola casa. Intorno a lui il buio, stavolta quello della notte. Sembrava una delle abitazioni delle “fattorie” intorno a Zlata: isolata, tranquilla, immersa nel deserto, costruita in legno e roccia e su solide fondamenta. Niente di insolito. Il ragazzo riprese il controllo del suo corpo e si alzò in piedi per osservare meglio dove era finito e fare mente locale su cosa fosse accaduto.

Si passò istintivamente una mano sul collo: i segni dei denti del ragazzino sul suo corpo erano spariti … si era trattato di una delle tante illusioni di quel mondo in cui Francis aveva capito non avere alcun controllo, anzi … aveva la sensazione di esser stato risucchiato, come se Dylan si fosse preso parte delle sue capacità: magari preferiva giocare ad armi pari, senza trucchetti mentali.

Notò sulla parete dietro di lui, in alto, una finestra sporca che dava sull’interno dell’edificio. Sìva trascinò fin lì una cassa di legna secca e vi salì sopra, mettendosi in punta di piedi, per poter vedere l’interno della stanza. Quello che trovò dall’altra parte fu un insolito scorcio familiare: insolito per ciò che era abituato a vedere nel mondo post-apocalisse, fatto di sofferenza, sacrifici e povertà.

In quello che era probabilmente il salone della casa c’era una famiglia felice, composta da due genitori premurosi ed un piccolo figlioletto impaziente di scartare il regalo che gli veniva consegnato: si respirava aria di festa, le pareti erano adornate da quadri ed ornamenti di ogni genere ed i tre portavano addosso vestiti di quelli buoni. Addossata alla parete c’era una lunga tavola imbandita con ogni tipo di cibo o leccornia dolciaria che sottolineava l’aria gioiosa da “pranzo della Domenica”.

<< questo è per te Dylan, con tutto il nostro amore >> disse sorridendo la donna mentre porgeva al ragazzino un grosso pacco avvolto da carta argentata e stretto in un bellissimo fiocco rosso.

<< sei un bravo bambino … ed i bravi bambini rendono fieri i loro genitori >> la seguì l’uomo, sorridendo anche lui, con in mano un pacchetto più piccolino e meno vistoso ma ben confezionato.

>> è contento … vuole solo scartare i regali, non riesce a contenere la gioia ed è curioso di cosa troverà all’interno … in questo sembra un bambino come tanti, direi … <<

E così fece, infatti, strappando avidamente la carta dal pacco più grande, standosene seduto a terra con ancora il pacchetto piccino accanto a lui, mentre i genitori lo guardavano ridendo.

Nel primo pacchettò trovò un grosso animale di pezza marrone, raffigurante un cane, con degli occhioni languidi e dolci e lo sguardo tenero di un cucciolo in cerca di un padrone che lo potesse amare – Dylan era lì che lo guardava con grande sorpresa accompagnata da urli di felicità, mentre la madre sorrideva soddisfatta della scelta.

Aprendo il pacchettino più piccolo invece scoprì una coppia di Walkie-Talkie con i quali comunicare ad ampia distanza e giocare con qualche amichetto per le strade. Dylan subito prese ad usarli e rigirarli in ogni posizione per vedere come funzionavano, tutto preso e con gli occhi che gli brillavano di curiosità, immaginando già i mille modi in cui ci avrebbe giocato. Il papà lo guardava fiero di se e del suo intuito per la scelta del regalo.

>> … gli piacciono entrambi, ed allo stesso modo. E’ decisamente felice … e vuole bene ad entrambi i genitori ma … non capisco … pensavo che Dylan fosse orfano <<

Il ragazzino era ancora seduto a terra che osservava i due regali contento e beato, mentre i genitori lo guardavano e parlottavano tra di loro senza perdere di vista la felicità del figlio.

<< guardalo come gioca contento. Si vede che i regali gli piacciono, soprattutto il mio >> disse la madre inebetita mentre Dylan strapazzava il suo regalo.

<< beh, veramente amore, scusa se te lo dico ma con quelle radioline si farà tanti amici e gli torneranno sicuramente utili per tanti bei giochi >> rispose il marito cercando di far valere le sue idee.

<< si ma, dai … guardalo come strapazza di coccole quel pupazzo, sono sicuro che gli fa tanta tenerezza >> controbattè lei, intenerita.

<< beh speriamo non se lo porti in giro ovunque quel pupazzo, altrimenti diventerà lo zimbello del quartiere: non è mica una femminuccia !! >> si difese lui, a quel punto.

<< non capisci niente invece !! Sempre meglio che giocare a qualche avventura immaginaria con quegli aggeggi mettendosi magari in pericolo >> asserì la donna visibilmente infastidita.

I due adulti iniziarono ad urlare e discutere visibilmente, mentre il ragazzino si fermava ad osservarli, ancora con entrambi i giochi in mano. Il guardava con sempre più stupore mentre i due venivano alle mani, ed iniziavano a strattonarsi ed a darsi violenti spintoni.

>> non capisce … li guarda stupito … non ha paura. Dylan è ancora innocente in questo "ricordo". Dev’essere la sua infanzia … o come il ragazzino la immagina, almeno … <<

Mentre Dylan guardava i suoi genitori litigare sempre più animosamente, le pareti del salone cambiavano aspetto, ingiallendo, accartocciandosi e cadendo a pezzi come se fossero raschiate via dal muro. Allo stesso modo l’arredamento sfarzoso della stanza iniziava a marcire ed a cadere sul pavimento per poi dissolversi in polvere o ruggine: la stanza stava mutando in qualcos’altro.

I genitori di Dylan presero a quel punto ad urlare ed insultarsi

<< sei un puttana, non apprezzi mai niente di quello che faccio !! >> diceva lui.

<< e tu uno stronzo, possibile che non vuoi dare a tuo figlio un pò di amore ? >> asseriva lei, aggredendolo verbalmente.

<< il piccolo ha bisogno di socializzare !! non di certe stronzate … >> l'uomo cercò nuovamente di farsi valere.

<< no, ha bisogno della dolcezza … magari potresti dargli un pò di quella che fai mancare a me >> gli fece notare la moglie.

<< adesso te la do io la dolcezza >> si fece valere l’uomo, di tutta risposta, spingendo a quel punto la moglie contro la parete dietro di lei ed afferrandola per la camicetta.

Si voltò quindi verso la tavola apparecchiata che costeggiava il muro per poter afferrare il lungo coltello che inforcava l’arrosto, con gli occhi carichi d’ira.

La donna vedendo che il marito si stava armando guardò alla sua sinistra dove su un piccolo tavolinetto che faceva da angolo alla stanza era poggiata una limetta per le unghie particolarmente appuntita: non trovò nulla di meglio quindi la afferrò velocemente con la mano libera, dicendo al marito << volevi qualcosa di utile ? ecco … >>

I due adulti, urlando come ossessi, piantarono quasi in contemporanea le loro armi l’uno nell’altro: lui affondò con facilità la lunga lama del coltello nel costato della donna mentre lei di tutta risposta infilò l’accessorio per manicure nella gola del marito lacerandogli truculentemente la carotide. Entrambi continuarono a spingere la loro offesa più che potevano, urlando con le ultime forze che avevano in corpo e grondando sangue sul pavimento e sulle pareti.

Dylan scoppiò a piangere, lasciando cadere a terra i regali che i genitori gli avevano fatto mentre li vedeva stretti l’un l’altro nel doppio fendente mortale, con gli occhi spalancati ed iniettati ancora di rabbia.

I due genitori persero pian piano le forze pur continuando a stringersi, fino a cadere a terra, stremati, dissanguati e privi di vita … morti entrambi e coi loro corpi affogati nel loro stesso sangue.

>> solo adesso si rende conto che … non gli interessano davvero quei regali. Quel che voleva erano loro … lui … voleva solo essere amato, desiderava solo avere due genitori che lo amassero.

Lo posso capire, purtroppo. Comprendo adesso il perché di questa scena nella sua mente … non sono i suoi veri genitori quelli, ma solo proiezioni dei suoi desideri, trasformati in sogni che non si avverano mai … questa rappresenta la sua infanzia, tra sogno e realtà di genitori che non ha mai conosciuto ed eppure lo hanno segnato così tanto negativamente …
<<

Mentre Dylan continuava a piangere la trasformazione del luogo in cui ormai solo lui e Francis si trovavano vivi si portò a compimento, facendo svanire anche le mura dell’edificio e cambiando lo scenario intorno a loro: si trovavano adesso nei vicoli di una città semidistrutta, probabilmente qualcosa di simile alla Zlata dei primi anni, tra sabbia, roccia e rovine decadute. Dylan continuava a piangere mentre Sìva era caduto a terra con la sparizione della cassa sul quale era in bilico precedentemente.

Mentre si rialzava in piedi Sìva vide che i regali che i “genitori immaginari” avevano “lasciato in eredità” a Dylan erano cambiati, lasciando il posto ad un lungo coltello sporco di sangue, simbolo della violenza e crudeltà delle strade … ed un piccolo ciondolo, un sassolino spigoloso con uno spago nero legato intorno, simbolo della solitudine in cui lo avevano abbandonato: quello era il loro dono, il regalo di quei genitori che Dylan non aveva mai avuto o conosciuto ma che aveva sempre desiderato – il lascito della loro assenza e mancanza.

Un’ombra di tristezza avvolse Francis che abbassò il capo sentendosi questa volta impotente di fronte ad un passato che gli ricordava così pesantemente il suo – cresciuto nei vicoli di Antiochia fino all’età di 9 anni, abbandonato a se stesse senza genitori o punto di riferimento, tra violenza e solitudine.

Uscendo fuori dai suoi pensieri fece per avvicinarsi al ragazzino, quando notò che non erano più soli: accanto a Dylan, che ancora piangeva disperato, c’era un uomo: un senzacasa probabilmente, a giudicare dall’aspetto, avvolto in un impermeabile marrone sporco e rovinato, tutto strappato da un lato e di qualche misura più grande del’uomo che lo indossava.

Aveva dei capelli scuri e ricci, folti e lunghi fino alle spalle ed un fisico esile e ben scolpito. Era piegato sulle gambe, con una mano sulla spalla di Dylan e cercava di calmarlo

<< ehi … ragazzino … non ti arrendere … non farlo mai. Perché quando pensi che sia tutto finito è il momento in cui tutto ha inizio >> gli disse con voce calma e suadente, mentre vedeva il piccolino guardarlo per cercare di ascoltarlo, smettendo pian piano di piangere.

Francis era lì, fermo, che li ascoltava e si concentrava per capire i loro pensieri. Sentiva che Dylan si fidava in qualche modo di quel uomo ed infatti, smise del tutto di piangere e si lasciò prendere in braccio da lui. Il barbone si alzò in piedi, con Dylan tra le braccia che chiudeva gli occhi tranquillo, come a voler dormire: si voltò verso Sìva, che stava in piedi dietro di lui, e lo guardò negli occhi per un istante.

Quell’uomo … quel ragazzo … dalla pelle chiara e lo sguardo quasi perso nel vuoto, disincantato e disilluso dal mondo intorno a lui, eppure così innocente e selvaggio, sembrava avere sulla ventina d’anni e vestiva con una camicia scura strappata e leggermente sbottonata, una t-shirt bianca sotto ed un piccolo crocifisso che gli spuntava da sotto il collo. Non disse nulla, si voltò e sparì nei vicoli con in braccio il ragazzino addormentato.

>> un senzacasa … non so che ruolo abbia nella vita di Dylan ma il ragazzino sembrava conoscerlo. Forse è un punto di riferimento … un aiuto che il piccolo ha trovato vivendo da solo nei vicoli. Dylan sembrava sentirsi protetto dalla presenza di quel ragazzo … che fosse … <<

Sìva era lì, fermo in quell’angolo di vicolo che rifletteva, quando i suoi pensieri vennero interrotti da un grido improvviso proveniente da dietro di lui

<< Groucho !! La pistola !! >> la voce riecheggiò per la strada solitaria e Francis, voltandosi, vide due uomini distanti tra loro di una decina di metri. Quello più lontano da lui aveva appena lanciato una vecchia pistola modello Bodeo, tutta arrugginita tanto da non sembrare quasi più in grado di sparare e che l’altro, dall’aria nettamente più giovane, afferrò al volo puntandola immediatamente verso Francis ed arrestandosi con le mani tese.

<< fermo amico, finalmente ti abbiamo trovato >> disse il giovane mentre Sìva alzava le mani ed indietreggiava leggermente << c-cosa … chi siete, io … >> ebbe tempo di balbettare prima che i due uomini ripresero con lo scambio di battute.

<< mi spiace per il lancio capo !! Sono maldestro ed anche un pò mal sinistro >> gli disse l’altro nell’avvicinarsi a lui.

<< [I]vorrà dire che appena mi pagheranno troverò un assistente più affidabile[/I] >> rispose il ragazzo, vestito con una giacca scura ed una camicia rossa, mentre teneva sotto scacco Francis, stupito dal loro scambio di battute.

<< ti risparmio la fatica … vado a cambiarmi, fortunatamente ho conservato lo scontrino >> gli rispose l’assistente baffuto mentre si sistemava gli occhialetti circolari sul naso stretto ed allungato.

<< più tardi amico, adesso incassiamo le nostre 100 sterline >> socchiuse un occhio e, puntando alla testa del suo bersaglio, fece fuoco.


Parte Ottava .... continua ....



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